La caccia con l'arco - arceriastorica
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La caccia con l'arco
Di Ivano Nesta (Fonti : Autori Vari).
La caccia con l’arco è stata una pratica che da sempre ha accompagnato l’uomo nel
corso della storia, fino ad essere
soppiantata
dall’attività venatoria effettuata con le
armi da fuoco.
Molteplici sono le iconografie che testimoniano questa attività : pensiamo alle
primitive pitture rupestri che
stilizzavano le cacce alla renna, ai bassorilievi in cui
gli assiri celebravano la caccia al leone o alle scene
di caccia con l’arco dipinte su
manoscritti medievali come la bibbia maciejowski dalla quale
sovente traggono
spunti i rievocatori del sec. XIII.
In questo breve scritto sono contenuti alcuni principi ricavati da esperienze
personali, da letture e da
deduzioni nate dall’analisi di fonti iconografiche.
L’AMBIENTE
La foresta è lo scenario principale nel quale viene svolta la caccia con l’arco.
Nel periodo preso in esame le distese di selve selvagge subiscono una riduzione
sotto l’effetto della crescita
demografica e dei conseguenti dissodamenti.
Dalle fonti scritte, dalle immagini e dai reperti risulta che la foresta era un elemento
di primaria importanza
in quel periodo, da indurre lo studioso Roland Bechmann ad
affermare, con una immagine felice e più
che pertinente, che il bosco nella società
medievale gioca un ruolo paragonabile a quello del petrolio oggi.
Era la selva che forniva il combustibile per il riscaldamento domestico, energia per
le attività artigianali
materia prima per gli utensili, le stoviglie, le costruzioni edili e
navali; la cenere serviva a concimare il suolo
degli orti; le scorze servivano in
conceria ed insieme con le foglie, le radici, le foglie, i fiori e le erbe erano utilizzate
nelle arti mediche.
Dal bosco si traevano i “ legni morti”, termine che designava i vari legni da ardere
compresi l’acero ed il frassino
che noi oggi consideriamo preziosi; gli altri tipi di
legno, quali la quercia ed il faggio, erano riservati per la
costruzione e l’artigianato.
Caccia, pesca e raccolta svolgevano un ruolo importante relegando spesso i prodotti
della coltivazione dei campi
ad un ruolo complementare.
Dalla foresta, altresì, gli uomini traevano gli alimenti principali per gli animali
domestici e per se stessi: frutti e
legumi selvatici, miele, bacche, funghi, pesci e
selvaggina.
Alla luce di queste considerazioni risulta chiaro che queste attività erano sottoposte
a rigidi controlli : la caccia
come la raccolta del legname, era regolamentata da una
serie di normative ed eventuali irregolarità
erano punite severamente.
LE PREDE
La caccia con l’arco trovava la sua naturale collocazione nella predazione degli
ungulati, anche se l’arco poteva
essere impiegato per cacciare selvaggina minore, al
posto delle più ordinarie trappole costituite da tagliole, lacci e reti.
Nelle iconografie assistiamo perlopiù a testimonianze di caccia a cervi, caprioli,
daini, cinghiali; tuttavia
una volta colpita la preda non sempre questa moriva
immediatamente ed occorreva pertanto mettersi
al suo inseguimento per
recuperarla.
Importante contributo lo potevano dare i cosiddetti “cani da sangue” che venivano
portati solo in un secondo
momento sul luogo dell’abbattimento, poiché avrebbero
potuto spaventare le prede e quindi vanificare la posta.
In mancanza di cani specializzati occorreva dedicarsi ad un’ operazione ancora più
complessa e delicata di quella
dell’appostamento e della realizzazione di un tiro
efficace, ossia la marcatura del terreno attraverso la quale
il cacciatore valutava le
tracce lasciate dall’animale colpito per individuare la direzione di fuga e
raggiungerlo.
Indizi importanti erano dati dal sangue versato dalla preda ferita, in alcuni manuali
di caccia dell’epoca
viene riportato che tracce di sangue di colore rosso scuro
indicavano ferite al fegato o il cuore, e perciò
l'animale non avrebbe fatto molta
strada; se le tracce erano contraddistinte da sangue rosso chiaro e schiumoso
era
stata raggiunta la zona polmonare ed anche in questo caso l'animale sarebbe stato
recuperato con
facilità; tracce di sangue misto a poltiglia verdastra o a brandelli di
intestini indicavano che era stato
colpito lo stomaco o il basso ventre ed allora
purtroppo, l'animale avrebbe potuto impiegare anche diversi
giorni per morire,
infine tracce di sangue chiaro, ma non schiumoso segnalavano che la freccia aveva
raggiunto ossa o fasce muscolari non vitali per cui l’animale avrebbe potuto andare
a morire in una zona
non accessibile.
LE TECNICHE DI CACCIA CON L’ARCO.
In tutte le situazioni di caccia fondamentale era il mimetismo che occorreva
adottare in modo da risultare
difficilmente identificabili dagli animali ed avvicinarsi
il più possibile per il tiro.
Nelle iconografie infatti possiamo osservare cacciatori vestiti di verde o con i colori
del bosco; in alcuni manuali
di caccia dell’epoca veniva raccomandato di muoversi
sempre controvento, di non produrre rumori
inutili, di mimetizzarsi usando anche
il fogliame delle piante o in prossimità delle prede di celarsi
dietro apposite tele
dipinte che riproducevano le fattezze degli animali cacciati e se a caccia con cavalli,
di confondersi celandosi al loro fianco.
La caccia con l’arco poteva essere praticata singolarmente in forma vagante o in
appostamento, oppure in gruppo
tramite l’organizzazione di battute.
Praticare la caccia con l’arco nella forma vagante presupponeva un’ ottima
conoscenza del territorio, delle abitudini
degli animali ed una grande esperienza nel
portare a termine la delicata fase di avvicinamento al selvatico
per scoccare un tiro
da distanza utile.
La caccia con l’arco in appostamento consisteva invece nell’attendere la preda in
prossimità di zone di possibile
passaggio dedotte da alcuni segnali tipici lasciati sul
territorio dagli animali come le raspate.
Da qui si poteva rimanere a terra, celandosi nelle conformità naturali del territorio
come avvallamenti o cespugli
o ci si poteva rendeva invisibili ed inodori agli
animali, allestendo degli appositi palchetti sugli alberi ad
un’altezza di almeno 3
metri dai quali avvistare la preda ed effettuare il tiro.
Le battute invece prevedevano l’interazione di diversi individui come battitori e cani
che avevano il compito
di stanare gli ungulati e farli convergere verso i tiratori
appostati.
Marco Polo ci ha descritto le grandi cacce mongole, organizzate come delle vere e
proprie azioni di guerra
alle quali partecipavano veri e propri eserciti di battitori e
cacciatori per stanare ed abbattere anche migliaia
di prede in una sola giornata.
L’ ATTREZZATURA
Parlando di archi utilizzati per la caccia possiamo operare una divisione classica,
derivante dalla diversa struttura
dei flettenti, che distingue due fondamentali
tipologie di archi usati da sempre nel mondo antico
ossia: archi ricurvi di origine
orientale, generalmente compositi cioè realizzati per mezzo di lamine stratificate di
corno, legno e tendine, ed archi dritti, che ebbero un maggiore sviluppo nelle civiltà
occidentali, realizzati
da solo materiale ligneo : tasso, maggiociondolo, nocciolo,
sambuco, olmo, frassino ecc.
Pertanto anche le tipologie di arco che si riscontrano nelle iconografie presentano
molteplici varianti di queste
due tipologie principali di archi in relazione soprattutto
al luogo di origine.
Non è questa le sede per mettere a confronto le peculiarità di questi due tipi di archi
anche se è risaputo che
un arco composito, a parità di libbraggio con un arco ligneo,
dovrebbe generalmente rendere meglio in termini
di velocità e penetrazione, ma
visto che in Inghilterra ed in tutta Europa veniva largamente praticata la caccia con
l’arco dritto, il bottino ottenuto doveva essere in buona parte più condizionato
dall’abilità dell’arciere
che dal tipo di arco usato.
Ad ogni modo si presume che l’arco da caccia, a differenza dell’arco da guerra,
doveva essere costruito utilizzando
libbraggi inferiori in maniera da risultare più
facile da controllare e quindi garantire una maggiore precisione
non è tuttavia
escluso che l’arco da caccia fosse usato in guerra o viceversa.
Se in una classica situazione bellica gli arcieri dovevano cominciare a scagliare i loro
dardi sul nemico ad una
distanza di relativa sicurezza, cioè tale da garantirsi la
necessaria concentrazione e tranquillità di tiro
era d’uopo utilizzare archi di elevato
libbraggio ed in considerazione del fatto che tali archi raggiungevano
anche distanze
di 200 mt. (pensiamo agli schieramenti degli arcieri inglesi che utilizzavano archi da
80/100 libbre - 1 libbra = 454 gr. – e che effettuavano un tiro di massa per colpire
nel mucchio)
non è certo ipotizzabile che venissero eseguiti tiri mirati a simili
distanze.
Per il tiro caccia invece occorreva eseguire un tiro di precisione, perché il colpo
inferto risultasse il più mortale
possibile e di conseguenza consentisse il recupero
certo della preda, infatti se l’animale fosse stato ferito
solo superficialmente si
sarebbe allontanato e sarebbe diventato complicato ed incerto il suo recupero.
Per ottenere la precisione necessaria il tiro doveva essere eseguito a distanza
ravvicinata per essere sicuri di
colpire la preda nelle zone vitali (cuore, polmoni e
fegato) e con le attuali repliche di archi storici un
buon arciere ottiene tale
precisione ad un distanza di 25/30 metri, esercitando una trazione di almeno 50/60
libbre; naturalmente chi è in grado di padroneggiare archi più potenti ottiene una
penetrazione maggiore e
quindi risultati più efficaci.
Anche le frecce usate per la caccia si differenziavano da quelle usate per le azioni
belliche.
Le frecce da guerra dovevano essere più leggere; ad esempio per ciò che concerne
l’impennaggio necessario a
garantire la stabilità della traiettoria, venivano usate
penne poco voluminose in modo da non ostacolare i lunghi
lanci e punte affusolate
di tipo conico o a quadrella che per la loro conformazione erano atte a sfondare
protezioni di cuoio o di metallo.
Le frecce da caccia al contrario, dovevano essere più pesanti per generare un forte
impatto, favorire la
penetrazione dei tessuti
delle cartilagini e proseguire nella
traiettoria deviando il meno possibile
da eventuali impatti con le ossa.
In questo caso occorreva utilizzare impennaggi più voluminosi per compensare il
peso della freccia e punte dalle lame
ampie ed estremamente affilate, atte a
provocare copiose emorragie che portavano velocemente alla morte.
In alcune iconografie queste differenze si possono facilmente riscontare, ma anche
in questo caso è lecito supporre
che frecce da caccia possano essere state usate
normalmente anche in guerra, mentre dovrebbe risultare controproducente
l’utilizzo di frecce da guerra in situazioni venatorie.
Alcune punte da caccia erano provviste delle cosiddette “barbe” ossia delle appendici
che non ne permettevano la fuoriuscita.
Nelle iconografie è testimoniato anche l’uso nella caccia con l’arco di punte
particolari, atte a salvaguardare piccole prede
come conigli od uccelli, da lesioni
troppo devastanti che potevano essere inflitte da frecce che montavano punte
utilizzate per la caccia agli ungulati, in modo da preservare ad esempio la pelliccia
che se ne poteva ricavare.
Si trattava di punte cilindriche o sferiche, realizzate in osso o legno, che
producevano l’effetto di tramortire mortalmente
tale selvaggina con lo stesso
risultato che produrrebbe un sasso tirato da una fionda.
A tal proposito è testimoniato anche l’uso di archi che con piccole varianti,
riuscivano a lanciare sassi al posto
delle frecce ed erano altresì utilizzate punte di
frecce estremamente affilate, dalle lame a forma di mezzaluna
atte a tagliare le code
o le ali degli uccelli, arrestandone il volo senza danneggiarli irrimediabilmente.
Le iconografie dell’epoca testimoniano infine che gli arcieri eseguivano i tiri
tendendo la corda dell’arco fino
all’orecchio per imprimere maggiore potenza alla
freccia.
Anche la balestra veniva usata largamente nella caccia, il suo utilizzo prese
maggiormente piede in alcuni paesi
piuttosto che in altri e poteva garantire risultati
più sicuri per il suo impiego più semplice, inficiato però dalla
lentezza di tiro nei
confronti dell’arco.
Realizzare una balestra tuttavia implicava un maggior dispendio di tempo e di
denaro.
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