Storia dell'arco e dei popoli arceri - arceriastorica
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Storia dell'arco e dei popoli arcieri
Di Ivano Nesta (
Fonti : Autori Vari)
Non sappiamo quando e come fu inventato l’arco, ma fin dalla preistoria
rappresentazioni grafiche rupestri ce ne
documentato
l’uso presso l’ uomo.
Nel corso della sua storia, questo straordinario strumento, ha subito costanti
miglioramenti rivelandosi
fondamentale negli eventi che hanno determinato il
percorso dell’umanità, fino a cedere il passo alle armi
da fuoco, verso la fine del
secolo XVII.
L’arco è un'arma da getto costituita da un corpo centrale : l’impugnatura e da due
estremità flessibili
i flettenti, le quali sono congiunte e messe in tensione da una
corda per scagliare frecce.
L'accumulo di energia necessaria al lancio si ottiene aumentando la distanza della
corda dall' impugnatura
in questo modo vengono sollecitati i flettenti dell'arco che
restituiranno l'incremento di energia
sotto forma di spinta.
Durante quest’ azione la superficie esterna dell'arco, o dorso, quella rivolta verso il
bersaglio, è sottoposta a un'azione di trazione, mentre quella interna o ventre,
rivolta verso l'arciere
è sottoposta a un'azione di compressione.
Allo scopo di sfruttare al meglio questo principio l’uomo ha costruito molteplici
tipologie di arco che si
possono tuttavia classificare in due grandi famiglie,
contraddistinte dalla provenienza e dalla diversa
tecnica di costruzione : sono gli
archi occidentali in legno e gli archi orientali compositi.
L'arco occidentale era costruito in un unico pezzo e con il solo materiale ligneo.
Si otteneva sgrossando un fusto di albero dotato di particolare flessibilità (fra i più
usati : tasso, olmo, frassino,
maggiociondolo, corniolo, sambuco nocciolo e acero)
fino a ottenere un bastone dritto con sezione
generalmente convessa di varia
lunghezza.
L'arco orientale composito era costruito assemblando materiali diversi : quali:
legno, corno, osso, tendine
animale e resine vegetali, in modo da ottenere una
controcurvatura riflessa, che nel carico della corda assumeva
andamento opposto.
Questa tecnica era adottata allo scopo di favorire gli sforzi di trazione che come è
stato precedentemente detto
subiscono i flettenti dell’arco.
Infatti il tendine animale, per le sue proprietà elastiche, venivano usato per rivestire
il dorso, in modo da favorire
il movimento di estensione che le fibre subiscono nella
trazione, mentre veniva usato il corno per rivestire le
fibre del ventre dell’arco in
modo da assecondare la compressione che contemporaneamente si genera.
L’impiego di tali materiali consentiva di preservare la rottura dei flettenti e di
migliorare notevolmente le
prestazioni dell’arco in termini di velocità, elasticità e
potenza.
L’arco composito, rispetto all'arco realizzato in semplice in legno, sviluppava
maggiore velocità di chiusura
al momento del tiro, quindi a parità di carico l'arma
composita scoccava la freccia con maggior
forza e a maggior distanza.
E’ probabilmente per questo motivo che nelle guerre in occidente l’arco non
assunse quasi mai quell’ importanza
che ebbe invece in oriente.
L’ARCO OCCIDENTALE
L’unica popolazione occidentale che utilizzò massicciamente l’arco in guerra fu
quella degli inglesi che per ottenere
prestazioni uguali a quelle fornite dagli archi
orientali concepì il cosiddetto arco lungo, il quale riusciva
a sopportare carichi
altissimi.
L’arco lungo inglese era per lo più realizzato in legno di tasso, infatti sfruttando le
proprietà di quest’ albero
si ottenevano prestazioni affini a quelle fornite
dall’assemblaggio di tendine e corno.
L’albero del tasso cresce molto lentamente condizionando la consistenza
dell’alburno, ossia la parte esterna
e più giovane del tronco e quella del durame
ossia la parte interna e più vecchia, che ben si adattano
alla realizzazione di archi
che con l’impiego di tale legno sfruttano lo stesso principio di quelli compositi.
L’arco lungo infatti veniva lavorato impiegando per il dorso le fibre dell’ alburno,
resistenti all’ estensione
e per il ventre le fibre di durame, capaci di sopportare la
compressione.
Archi semplici in legno erano già usato nel neolitico come ci è testimoniato da
numerosi ritrovamenti e non
subiscono in occidente significative migliorie per
moltissimo tempo.
Nel primo millennio di storia europea l'arco era si presente e usato da tutti gli
eserciti, ma in modo secondario
nel combattimento si privilegiavano le armi di
metallo; l'arco compariva sporadicamente in battaglia, solo
nelle fasi di
avvicinamento al nemico o in caso di assedio.
Si trattava di archi in legno lunghi della misura variabile 160/170 cm; anche i
normanni, all'inizio del
II° millennio, usavano questi tipi di arco che impiegarono
con successo nella battaglia di Hastings (1066)
per mezzo della quale
conquistarono l’Inghilterra.
In Inghilterra l'arco lungo venne probabilmente introdotto dai vichinghi norvegesi
che lo utilizzavano e
che lo importarono presso i Gallesi i quali diventarono dei
maestri facendone un uso continuo come arma
da guerra e per la caccia.
Dopo la conquista normanna l'arco gallese venne adottato in tutta l'isola e dopo
opportune modifiche che ne
aumentarono la lunghezza e la potenza, si trasformò
nella micidiale arma da guerra : “il long-bow” che
dapprima fu usato contro gli
scozzesi nelle guerre della seconda metà del 13° secolo ed in seguito si
meritò fama
perenne divenendo l'arma preferita dagli inglesi, attraverso la quale inflissero
cocenti sconfitte
ai francesi nella prima fase della guerra dei cent’anni (1337-1453).
Alla balestra che in tutta Europa era considerata la più efficace arma da getto, gli
inglesi opposero l’uso
dell’arco lungo addestrandone la popolazione anche
forzatamente : le autorità dell'epoca disposero ordini
affinché il tiro con l'arco fosse
praticato continuamente, anche escludendo altre forme di sport e passatempi.
In ogni villaggio inglese alla domenica mattina, dopo le funzioni religiose, si
potevano osservare gare di tiro
con l'arco alle quali assistevano dei reclutatori che
selezionavano i migliori arcieri che sarebbero andati a
formare i reparti usati dai re
nelle loro guerre.
Il segreto per diventare un buon arciere consisteva nella costante pratica con quest'
arma; l'insegnamento iniziava
già dall'infanzia ed i giovani arcieri incrementavano
progressivamente la precisione di pari passo alla potenza
dell'arco, arrivando anche
a padroneggiare archi da 90/120 libbre (circa 40 - 55 Kg) e ad effettuare tiri a
parabola fino ad una distanza di 200 mt.
La tattica degli inglesi consisteva nella cooperazione tra cavalieri smontati e masse
di arcieri che con
quest’arco riuscivano a falcidiare le cariche della cavalleria, forza
d’urto principale nella risoluzione delle
battaglie medievali, prima che questa
riuscisse ad avvicinarsi.
Nei secoli XIII e XIV probabilmente arco lungo e balestra avevano la stessa gittata,
ma mentre un buon
arciere riusciva a scagliare circa 10 frecce al minuto, un
balestriere nello stesso periodo di tempo, scoccava
appena 3 quadrelli a causa delle
più macchinose operazioni necessarie ad armare una balestra.
Tuttavia se l’arco risultava più veloce e meno costoso nella realizzazione, rispetto
alla balestra necessitava
di maggiore addestramento e non garantiva la stessa
precisione.
L’ARCO ORIENTALE
Mentre l’occidente era abitato ancora da popolazioni selvagge l’arco composito
raggiungeva già altissimi
livelli in oriente, infatti archi compositi in corno sono
ricordati nei poemi omerici tra le armi degli Achei
Ulisse utilizza l'arco di corno di
cervo per far strage dei Proci che insidiavano il suo regno.
L’arco composito trovava la sua massima espressione presso i popoli delle steppe
asiatiche che lo
utilizzavano in combinazione con il cavallo : erano tribù nomadi
dedite alla pastorizia ed alla caccia come
Sciti e Sarmati, popoli per i quali il cavallo
rappresentava un mezzo indispensabile di sopravvivenza nelle
sterminate pianure.
La particolare abilità del maneggio dell'arco a cavallo, grazie all'invenzione della
staffa, strumento ancora
sconosciuto al mondo greco-romano, consentiva all'arciere
di mantenersi ben saldo in sella e di tirare anche
lanciato al galoppo.
La tecnica di combattimento del cavaliere armato alla leggera, con arco di corno a
doppia curva e frecce dapprima
in pietra, osso e poi in bronzo e ferro, era
determinante contro avversari pesantemente armati e quindi poco mobili.
La loro tattica di movimenti improvvisi e micidiali assalti e altrettanto rapide
ritirate, non consentiva al nemico
di riorganizzarsi.
Presso i Romani l'arco non era tenuto in eccessiva considerazione finché non
vennero in contatto con i Parti, eredi
degli arcieri Sciti, che inflissero loro dure
sconfitte.
Alla luce di queste spiacevoli esperienze venne rivisto da parte dell'impero romano
l'atteggiamento nei confronti
dell'arco e creato un reparto di arcieri a cavallo.
Nell'impero bizantino questi reparti di arcieri troveranno la massima espressione e
il loro utilizzo riuscirà a
salvaguardare i confini dalle popolazioni esterne per
lunghissimo tempo.
Tuttavia ancora orde di cavalleggeri asiatici delle steppe arrivarono a più riprese a
minacciare da vicino l’occidente.
Ricordiamo gli Unni, nomadi di stirpe turco-mongolica, eredi della tradizione
guerriera degli Hsiung-Nu,
che nel 376 d.c. dapprima invasero l'Europa e dopo la
morte di Attila furono dispersi ed assimilati
dalle altre popolazioni.
Ricordiamo Avari e Magiari (o Ungari); i primi compirono scorrerie ai danni di
Bizantini e Franchi e da
quest’ultimi furono sconfitti, i secondi fecero incursioni in
Turingia, Baviera, Svevia e
Longobardia (pianura padana) fino ad essere sconfitti da
Ottone I e ritirarsi nell'attuale Ungheria
(che da loro prende il nome) nel sec. XI.
Con i loro saccheggi si fecero una fama terrificante; da "Ungaro", in francese "Ogre",
deriverebbe il nostro
appellativo "orco".
L' arma primaria di tutti questi popoli era quindi l'arco composito che surclassava
gli altri archi contemporanei
utilizzati nell'ovest per la portata maggiore e maggiore
forza di penetrazione.
Le frecce erano di varia foggia e con punte in metallo per penetrare scudi di cuoio
così come armature d'acciaio.
Attraverso una diligente pratica, questi guerrieri raggiungevano un livello di
competenza tale da aumentare
grandemente i colpi messi a segno.
Tiri mirati e combinati rappresentavano una reale forza mortale e creavano panico
tra le truppe nemiche, poiché
la saturazione del territorio del nemico con frecce
permetteva anche ai tiri casuali di colpire un bersaglio.
Fin dai primi anni di vita imparavano ad usare archi di potenza superiore alla media
dei comuni arcieri.
Appena la loro abilità raggiungeva un discreto livello si abituavano a scoccare frecce
cavalcando, variando i
bersagli e crescendo in abilità e forza col crescere dell'età e
della prestanza fisica.
L'addestramento dell'arciere a cavallo comprendeva tiri in avanti, di lato e
all'indietro, indipendentemente
dall'altezza e dalla direzione del movimento del
bersaglio.
La tattica di guerra di questi uomini era abbastanza semplice e continuava a
ricalcare la tradizione
orde di arcieri a cavallo attaccavano il nemico, colpendo
molto rapidamente e ritirandosi
altrettanto velocemente. Il nemico rompeva lo
schema difensivo tenuto sino a quel momento per
riorganizzarsi e lanciarsi al
contrattacco. A questo punto gli arcieri tornavano velocemente sui loro passi,
riattaccavano il nemico senza schema difensivo e lo distruggevano definitivamente.
La velocità di marcia era incredibile, poiché l'esercito a cavallo era in grado di
avanzare 60 km. al giorno
contro i 15 km. coperti giornalmente dalle fanterie
dell’epoca.
Il segreto di questa velocità di spostamento era legato al fatto che ogni combattente
aveva almeno 2 o 3
cavalli di riserva, di cui si serviva anche per trasportare le
masserizie.
Ma il più rappresentativo tra i popoli guerrieri che hanno fondato le loro conquiste
sul connubio arco/cavallo fu
senz'altro quello dei mongoli.
Questi uomini piccoli che vincevano sempre in modo così totale e senza fare
prigionieri, andando all'assalto
con furia cieca e sanguinaria, massacrando tutti
quelli che incontravano, assoggettarono nel loro
periodo di massima potenza
(1200-1300) gran parte dell'Asia e dell'Est-Europa.
Le armi includevano: berretto conico in acciaio, armatura (solo frontale, poiché non
era consentito
volgere le spalle al nemico) in cuoio cotto e in seguito rinforzata con
piastre metalliche, scudi di varie misure
in pelle o in legno, spada diritta o ricurva,
daga, mazza, lancia con un uncino alla base della lama
per agganciare e far cadere da
cavallo e arco di 2 misure, più corto per combattimento a cavallo
più lungo per
combattimento a piedi.
Tutti gli uomini, indistintamente, adoperavano l'arco con due faretre, una contente
30 frecce leggere per i tiri
lunghi e un'altra contenente 30 frecce pesanti per la
distanza ravvicinata. I mongoli erano i migliori
cavalieri e i migliori arcieri del
mondo; avevano perfezionato la loro abilità ed erano in grado di
scagliare le frecce
al galoppo, nel momento esatto in cui il cavallo stava con tutti e quattro gli zoccoli
sollevati nell'aria, in modo da scoccare in una sospensione priva di scosse.
Le altre popolazioni nomadi delle steppe asiatiche avevano le stesse caratteristiche
di forza, resistenza e abilità
dei mongoli; ma l'artefice della grandezza del popolo
mongolo fu Gengis Khan che, unificando
le numerose tribù da cui era composto
questo popolo nomade, costituì un esercito perfettamente
organizzato e coeso nei
reparti, i cui uomini si muovevano sempre tutti insieme, come in automatismo,
nell'assoluta disciplina, nell'estrema rapidità, e con una tattica di combattimento
straordinariamente efficace.
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